martedì 22 marzo 2011

MARTA AS AN ALIAS

Marta as an alias

18/03/2009 16.45.30

Marta, non aveva più incubi da un pò di tempo...

quella mattina invece, si svegliò tutta sudata...
aveva sognato per troppe ore e il suo sogno non era stato dei migliori...
urlava in quel sogno...piangeva con estremo dolore...
lui la perseguitava, nonostante il suo nome amore...

Marta aveva chiuso con quella triste storia...
nel cuore, aveva sempre avuto le risposte giuste ma per il suo auto-lesionismo, ha voluto farsi male, sino al midollo...

dopo mesi, si accorse del suo incoscio,
sotterraneo incoscio prepotente,
che le ha scavato la fossa per quell'intera giornata...
Marta non faceva altro che piangere e rivedere vecchie foto...

Tutto sembrava finito ed il suo volto, più leggero...
tempo addietro!

Marta annegava nei suoi insanguinati ricordi...
senza vedere più vie d'uscita, che c'erano ma non riusciva proprio a vedere!

Marta strozzava il suo bellissimo collo,
soffocando nelle sue lacrime che scendevano senza sosta...

domenica 23 gennaio 2011

Lea Crespi_

"Le travail de Léa Crespi s’organise autour d’un protocole dépouillé: une auto représentation, en nu, dans un lieu abandonné par l’activité humaine, lieu qu’elle croise, au fil de son chemin personnel. Dans ce travail Léa Crespi agit en archéologue. Elle convoque les lieux comme autant de signes de ce qui a été mais n’est plus et qui pourtant porte encore des stigmates de l’histoire humaine. A ces lieux, déchets d’une époque quant cette époque est accomplie, elle oppose sa propre représentation, la vérité de son être, pour mettre à jour la fragilité de l’existence humaine. Peu à peu se met en place un questionnement complexe qui va du rapport de l’homme à son histoire, au temps, aux lieux, mais également à celui du rapport à son propre corps dans une époque encline au refus du vieillissement. Dans cette confrontation, la signification initiale des lieux retrouve force et dignité par la part d’humanité que ce corps réintroduit dans ces lieux abandonnés par l’homme. Mais, et peut-être parce qu’on ne voit jamais mieux que du dedans d’un présent, la présence de ce corps rend la fragilité humaine plus visible et plus lisible. A l’instar de la fragilité des lieux qui portent sur eux les stigmates de leur passé, le corps est inexorablement condamné à cette confrontation au temps."
Paul Cottin

http://boring.ch/lea/

venerdì 7 gennaio 2011

Danza Butoh

La danza Butoh nasce in Giappone nel secondo dopo guerra ed esprime la tragedia dell'olocausto e della bomba nucleare vissuto dal popolo giapponese. Si colloca tra i due diversi teatri giapponesi: teatro nô e teatro kabuki.
Le caratteristiche principali sono le seguenti:
sospensione del tempo caratterizzata da un immobilismo quasi ieratico dove gli attori eseguono pochi movimenti lenti.
il corpo è sempre teso e contratto: le mani sono quasi chiuse a pugno, i piedi sono piegati verso l'interno, le gambe con le ginocchia piegate che si toccano o che non si toccano e il busto rivolto in avanti.
il viso, spesso ricoperto da un cerone bianco per renderlo più anonimo, esprime la sofferenza con smorfie drammatiche,  le pupille degli occhi vengono alzate verso l'alto e nascoste dalle palpebre leggermente abbassate. Lo sguardo sembra perso, smarrito nel vuoto.
questi corpi che assumo posture goffe e rigide, hanno una loro sensualità e armoniosità.
gli attori sono indipendenti tra di loro e le poche volte in cui entrano in contatto, lo fanno in modo violento.
sulla scena il silenzio degli attori è rotto solo da suoni inquientanti e ripetitivi.
gli attori giocano spesso con degli specchi o vetri, dando, il senso del doppio, dell'inganno, della trasparenza.
lo spazio creto risulta estremamente confuso, quasi uno spazio della memoria creato da una scenografia essenziale e dall'uso del chroma key che crea sovrapposizioni e ambienti nuovi. La scena attraverso il video si rinnova, si allarga creando, in questa situazione, una sensazione di smarrimento.

SOURCE: http://www.teatron.org/corpielettro/mappa_concettuale/croma_key/danza_butoh.html
un fotogramma del film "La morte corre sul fiume"

giovedì 6 gennaio 2011



So I want to know
Did you ever think of me on a summer day?
Or holding her hand out in tha rain?
Remember I said 'Please, please, please don't go'
And now we're just strangers in different worlds
I guess that's just the way it goes...

lunedì 3 gennaio 2011

The cage: opera autobiografica

Video realizzato per l'esame di storia dell'arte contemporanea.
La performance è ispirata al movimento artistico dell'arte comportamentale, branchia della body art. essa rappresenta i deliri, la follia dell'artista che guardandosi allo specchio, non riconosce più se stessa. Lo specchio, oggetto di riconoscimento, porta la performer alla pazzia, una pazzia claustrofobica, rappresentata da "the cage", la gabbia, in cui lei si muove, danza cercando di liberarsi, invano...
non mancano citazioni di una poesia dell'artista, di Pirandello (uno, nessuno e centomila) e Cartesio ("Cogito ergo sum") che accostano la performance al movimento tedesto chiamato Fluxus, secondo cui, il gesto quotidiano deve fluire nell'atto creativo.

"Six men getting sick": a short film by David Lynch

(1967)
(also known as "Six Figures")
"Six Men Getting Sick" was Lynch's first exploration into film, made during his second year of study at the Pennsylvania Academy of Fine Arts, in Philadelphia. Lynch describes it as "Fifty-seven seconds of growth and fire, and three seconds of vomit."1 The transition into film came from a desire to make his paintings move. "I was painting very dark paintings. And I saw some little part of this figure moving, and I heard a wind. And I really wanted these things to move and have a sound with them. And so I started making an animated film as a moving painting. And that was it. I wasn't in the film business."2 "I always sort of wanted to do films. Not so much a movie-movie as a film-painting. I wanted the mood of the painting to be expanded through film, sort of a moving painting. It was really the mood I was after. I wanted a sound with it that would be so strange, so beautiful, like if the Mona Lisa opened her mouth and turned, and there would be a wind, and then she'd turn back and smile. It would be strange."3
"Six Men Getting Sick" was the result of Lynch's desire to create a moving film. It featured a animated film of several heads and arms which slowly grew stomachs and caught fire. The film ended with the transformed images vomiting. The film was shot frame by frame with a secondhand 16mm wind-up camera. Lynch built a special rig on top of the projector to allow the film to run in a continuous loop. The film was projected on a sculpture screen created by Lynch and Jack Fisk. It consisted of three plaster casts of Lynch in various poses and another face painted on. The sound was a tape of a siren played continuously.
The entire project cost $200 to do, a lot to Lynch at the time. It was shown at a Pennsylvania Academy of Fine Arts exhibition in 1966. Ten minutes out of ever hour the lights would be turned off so the film could be seen. The sculpture/film won a shared first place in the second annual Dr. William S. Biddle Cadwalader Memorial Prize. One of the judges on the competition panel was H. Barton Wasserman, who would finance Lynch's next project which became "The Alphabet."

SOURCE: http://www.lynchnet.com/sixmen/

Francesca Woodman: fotografa

Nata a Denver nel 1958, figlia degli artisti Betty e George Woodman, Francesca cominciò a lavorare col mezzo fotografico a soli tredici anni di età, quando realizzò il primo autoscatto. Nei nove anni che separano questo esordio dall’abbandono volontario della vita, avvenuto nel gennaio 1981 a soli ventidue anni, l’artista ha continuato a fotografare se stessa in ambienti domestici, in mezzo alla natura, sola o con amiche, nel vivo di azioni e performance appositamente progettate.
Le serie fotografiche più significative si identificano con i luoghi dove sono state realizzate e ripercorrono i passaggi essenziali della sua biografia: la prima ha per scenario Boulder, nel Colorado, e data agli anni della scuola superiore, la seconda riguarda l’intenso periodo di formazione presso la Rhode Island School of Design di Providence, seguita da quella, molto ricca, che fra 1977 a 1978 venne eseguita a Roma. New York, da una parte, e la natura incontaminata della MacDowell Colony nel New Hampshire rappresentano le fasi estreme della sua opera. Quasi tutta la produzione dell’artista vive nel rapporto tra il proprio corpo, oggetto e soggetto degli scatti, e il proprio sguardo, nella dialettica cioè che s’instaura fra la Francesca Woodman artista e la Francesca Woodman modella di se stessa. Di sé non offre mai alcuna visione idealizzata, eroica, caricata di particolari significati; al contrario, la propria immagine è sempre inserita nell’universo delle cose, come fosse una di esse o, meglio ancora, parte di esse. Ecco allora che il corpo di Francesca quasi si assimila con l’intonaco dei muri, gioca con la propria ombra, compare da porte e finestre, si nasconde tra i mobili e gli oggetti; la luce ne sfalda la consistenza piuttosto che esaltarla, oppure ne tornisce le forme purché siano sempre colte come frammenti, come particolari. Tratti caratteristici e ricorrenti sono anche l’assenza del volto, tagliato via dall’inquadratura – o nascosto da maschere, dai propri capelli, da una torsione del collo o del busto – e la dimensione performativa.

Non Luogo_ Marc Augè

Il neologismo nonluogo definisce due concetti complementari ma assolutamente distinti: da una parte quegli spazi costruiti per un fine ben specifico (solitamente di trasporto, transito, commercio, tempo libero e svago) e dall'altra il rapporto che viene a crearsi fra gli individui e quegli stessi spazi.
Marc Augé definisce i nonluoghi in contrapposizione ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi, eccetera. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso ad un cambiamento (reale o simbolico). I nonluoghi sono prodotti della società della surmodernità, incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di "curiosità" o di "oggetti interessanti". Simili eppure diversi: le differenze culturali massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Ognuno con un proprio stile e caratteristiche proprie nello spazio assegnato. Senza però contaminazioni e modificazioni prodotte dal nonluogo. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì.
I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo nel campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita.
I luoghi e i nonluoghi sono sempre altamente interlegati e spesso è difficile distinguerli. Raramente esistono in "forma pura": non sono semplicemente uno l'opposto dell'altro, ma fra di essi vi è tutta una serie di sfumature. In generale però sono gli spazi dello standard, in cui nulla è lasciato al caso tutto al loro interno è calcolato con precisione il numero di decibel, dei lum, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità di informazione. Sono l'esempio esistente di un luogo in cui si concretizza il sogno della "macchina per abitare", spazi ergonomici efficienti e con un altissimo livello di comodità tecnologica (porte, illuminazione, acqua automatiche). Nonostante questa omogeneizzazione i nonluoghi solitamente non sono vissuti con noia ma con una valenza positiva (l'esempio di questo successo è il "franchising" ovvero la ripetizione infinita di strutture commerciali simili tra loro). Gli utenti poco si preoccupano del fatto che i centri commerciali siano tutti uguali, godendo della sicurezza prodotta dal poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all'interno di un aeroporto.
Da qui uno dei paradossi dei nonluoghi: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell'anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e degli altri nonluoghi.
Il rapporto fra nonluoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli (parole o voci preregistrate). L'esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti vietato fumare oppure non superare la linea bianca davanti agli sportelli. L'individuo nel nonluogo perde tutte le sue caratteristiche e i ruoli personali per continuare ad esistere solo ed esclusivamente come cliente o fruitore. Il suo unico ruolo è quello dell'utente, questo ruolo è definito da un contratto più o meno tacito che si firma con l'ingresso nel nonluogo.
Le modalità d'uso dei nonluoghi sono destinate all'utente medio, all'uomo generico, senza distinzioni. Non più persone ma entità anonime: Il cliente conquista dunque il proprio anonimato solo dopo aver fornito la prova della sua identità, solo dopo aver, in qualche modo, controfirmato il contratto. Non vi è una conoscenza individuale, spontanea ed umana. Non vi è un riconoscimento di un gruppo sociale, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. Una volta l'uomo aveva una anima e un corpo, oggi ha bisogno anche di un passaporto, altrimenti non viene trattato da essere umano così scriveva il novelliere e saggista Stefan Zweig: da quel tempo il processo di disindividualizzazione della persona è andato via via progredendo.
Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell'entrata o dell'uscita (o da un'altra interazione diretta) nel/dal nonluogo, per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/passeggeri/clienti che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole. La società che si vuole democratica non pone limiti all'accesso ai nonluoghi, a patto che si rispettino una serie di regole: poche e ricorrenti. Farsi identificare come utenti solvibili (e quindi accettabili), attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare.
Anche il concetto di "viaggio" è stato pesantemente attaccato dalla surmodernità: grandi "nonluoghi" posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. A proposito del più grande centro commerciale degli Stati Uniti d'America, il "Mall of America", che richiama oltre 40 milioni di visitatori ogni anno (molti dei quali ci entrano nel corso di un giro turistico), scrive il critico Michael Crosbie nella rivista Progressive Architecture: si va al Mall of America con la stessa religiosa devozione con cui i Cattolici vanno in Vaticano, i Musulmani alla Mecca, i giocatori di azzardo a Las Vegas, i bambini a Disneyland. Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada. L'identità storica delle città ridotta a stereotipo di richiamo turistico.
L'identificazione dei centri commerciali come nonluoghi, tuttavia, è stata oggetto di messe a fuoco distinte da quella di Marc Augé: una ricerca effettuata in Italia su un vasto campione di studenti delle scuole superiori (Lazzari & Jacono, 2010) ha mostrato come i centri commerciali siano uno dei punti di ritrovo d'elezione per gli adolescenti, che li pongono al terzo posto delle proprie preferenze d'incontro dopo casa e bar. Secondo Marco Lazzari i "nativi digitali" sono nativi anche rispetto ai centri commerciali, nel senso che non li percepiscono come una cosa altra da sè: sfuggendo la retorica del nonluogo e ogni snobismo intellettuale, i ragazzi sentono il centro commerciale come un luogo vero e proprio, di frequentazione non casuale e non orientata soltanto all'acquisto, dove si può esprimere la socialità, incontrare gli amici e praticare con loro attività divertenti e interessanti. Lo stesso Augé, in effetti, ha successivamente convenuto che "qualche forma di legame sociale può emergere ovunque: i giovani che si incontrano regolarmente in un ipermercato, per esempio, possono fare di esso un punto di incontro e inventarsi così un luogo".

FONTE: Wikipedia
FILM CONNESSI: "Onde" di Francesco Fei